Premio Michele Serio

Premio Michele Serio

Un premio per celebrare il talento,
un ricordo che ispira il futuro

Un premio per celebrare il talento,
un ricordo che ispira il futuro

Era quasi mezzanotte quando Marco Ricci, investigatore privato, si accese l’ultima sigaretta della giornata. La pioggia battente scandiva un ritmo monotono sulle finestre opache del suo ufficio. Napoli, di notte, era una città che respirava con calma apparente, nascondendo i suoi segreti nei vicoli bui.

La porta cigolò, e una donna entrò. Il suo profilo si stagliava contro la luce del lampione fuori dalla finestra: capelli scuri, occhi taglienti, un vestito che sembrava troppo elegante per quella zona malfamata.

“Lei è Ricci?” chiese con voce bassa ma sicura.

“Dipende da chi lo chiede,” rispose lui, schiacciando la sigaretta in un posacenere traboccante.

“Mi chiamo Teresa Santoro. Mio marito è sparito.”

Marco la fissò. Sembrava la classica storia: un uomo che scappa da una vita che non vuole più o una donna che cerca di coprire qualcosa. “Ha provato con la polizia?”

“Non mi fido della polizia,” rispose, guardandolo con un misto di sfida e paura. “Mio marito non è uno qualunque. Si chiamava Lorenzo Santoro.”

Il nome accese una lampadina nella mente di Marco. Lorenzo Santoro era un pezzo grosso nel gioco delle carte clandestine, con una lunga lista di nemici.

“Si chiamava?” domandò Marco, afferrando il dettaglio.

Teresa esitò. “L’ho detto? Scusi, intendevo dire… non lo vedo da giorni. Ho trovato solo questo.” Aprì la borsa e tirò fuori una carta da gioco, un asso di picche, con una macchia rossa al centro. Sangue.

“Chi pensa che sia stato?” chiese Marco, anche se aveva già una lista mentale di possibili sospetti.

“Non lo so, ma Lorenzo era in debito con persone pericolose.”

Marco prese la carta e la rigirò tra le dita. Qualcosa non tornava. “Chi le ha lasciato questa?”

“La porta di casa era socchiusa. Quando sono entrata, era lì, sul tavolo.”

“Ha toccato altro?”

“No. Ho avuto paura.”

“Ha fatto bene,” mormorò lui. La carta era un messaggio chiaro, un avvertimento per qualcuno che aveva giocato troppo a lungo con la fortuna.


Quella notte, Marco iniziò a scavare. Chiamò vecchi contatti, visitò un paio di bar fumosi e finì in un magazzino abbandonato lungo il porto. Lì trovò un uomo: Enzo “il Rosso,” un intermediario noto per le sue informazioni.

“Chi sta mandando carte macchiate in giro, Enzo?” chiese Marco, spingendolo contro un muro.

“Non so di cosa parli, Ricci,” balbettò Enzo. Ma Marco gli mostrò l’asso di picche, e il suo volto si fece livido.

“Il Re di Cuori,” sussurrò.

Marco lo fissò. “Non dire sciocchezze. Il Re di Cuori è una leggenda.”

“Non più,” rispose Enzo. “È tornato. E Lorenzo era uno dei suoi bersagli.”


Due giorni dopo, Marco trovò il corpo di Lorenzo in un vicolo dietro un casinò clandestino. Aveva ancora il vestito elegante addosso, ma il volto era irriconoscibile. Accanto al cadavere, una carta: il Re di Cuori.

Tornò da Teresa quella sera. Lei lo aspettava, fumando una sigaretta sottile.

“Lorenzo è morto,” disse Marco, senza giri di parole.

Teresa non sembrò sorpresa. “Lo immaginavo.”

“Perché mi ha mentito?” chiese Marco. “Lei sapeva chi l’aveva preso.”

Teresa sorrise, un sorriso freddo. “Avevo bisogno di qualcuno che trovasse il corpo e chiudesse la questione per me.”

Marco si avvicinò, con la rabbia che cresceva. “Lei lavora per il Re di Cuori, vero?”

Lei si alzò, avvicinandosi pericolosamente. “Lavoravo per Lorenzo. Ma anche lui aveva un prezzo. E qualcuno ha deciso di comprarlo.”

Prima che Marco potesse rispondere, Teresa gli mise tra le mani un’altra carta: una regina di picche.

“Ci rivedremo, Ricci,” disse, sparendo nel buio.

Marco restò lì, con quella carta in mano, mentre la pioggia continuava a cadere. Sapeva che quella non era la fine. Era solo l’inizio.